realizzato e curato da: Vincenzo Di Grigoli
Cosa vedere
La
storia
del
Comune
di
Mezzojuso
è
sicuramente
molto
articolata
e
ricca
di
controversie,
queste
ultime
originate
in
primo
luogo
dall’interpretazione
etimologica
del
nome.
Diverse
sono
state
le
interpretazioni
date
dagli
storici
locali
e
non,
al
nome
di
Mezzojuso:
Manzil
Yûsuf,
Mensel
Jusuf,
Menzil
Jusuf,
ecc.
ma,
nonostante
le
varie
alterazioni
e
deformazioni,
l’origine
araba
del
nome
è
accertata
e
variamente
interpretata
come:
“abitazione”,
“casale”,
“villaggio”,
mentre
Yûsuf,
in
onore
dell’emiro
di
Sicilia
Abu
al
Fatah
Yûsuf,
rimane
sempre
invariato
e
tradotto
come
Giuseppe.
Diverse,
originariamente,
furono
le
tesi
sul
primo
insediamento
umano
e,
quindi
sulla
prima
formazione
del
centro
abitato
ma
successivamente
tutte
le
indicazioni
storiche
e
i
documenti
d’archivio
portarono
ad
una
tesi
avvalorata
da
più
parti
e
cioè
che
Menzil
Jusuf
è
quel
casale
che
gli
albanesi
trovarono
nel
luogo
in
cui
era
stato
costruito
dagli
arabi
e
che
essi
ripopolarono.
L’esistenza
del
feudo
di
Mezzojuso
prima
dell’arrivo
degli
albanesi
pertanto
è
storicamente
accertata,
infatti,
dopo
la
dominazione
musulmana
del
X
secolo
subentrarono
i
Normanni
i
quali
costruirono
una
chiesa
per
ripristinare
la
religione
cristiana
e
cancellare
il
ricordo
dei
musulmani.
E’
accertato
inoltre
che
Ruggero
II
nel
1132
donò
i
feudi
di
Mezzojuso
e
Scorciavacca
col
casale
e
i
suoi
abitanti
al
monastero
di
San
Giovanni
degli
Eremiti
di
Palermo.
Il
periodo
compreso
tra
la
fine
del
XIII
secolo
e
la
prima
metà
del
XV
secolo
è
il
più
oscuro
per
ciò
che
riguarda
le
notizie
storiche
del
paese,
pochi
infatti
sono
i
documenti
a
noi
pervenuti.
Da
questi
documenti
si
evince
che
il
periodo
in
questione
fu
caratterizzato
da
un
rapido
spopolamento
del
feudo
in
seguito
alla
peste
e
alle
guerre
causate
dal
Vespro,
tant’è
vero
che
nel
1442,
quando
fu
fatta
la
numerazione
dei
fuochi
per
la
riscossione
di
una
colletta,
il
feudo
di
Mezzojuso
non
fu
preso
in
considerazione.
Durante
questo
periodo
di
spopolamento
il
feudo
era
abitato
da
pochi
contadini
e
tutto
gravava
sulle
spalle
del
Monastero
di
San
Giovanni
degli
Eremiti,
ecco
perché
era
interesse
del
Monastero
ripopolare
il
feudo.
La
fuga
degli
albanesi
dalla
loro
patria,
in
seguito
all’invasione
turca,
fu
vista
dai
feudatari
siciliani
come
una
possibilità
per
ripopolare
il
feudo
con
una
forza
-
lavoro
notevole
per
i
campi.
Gli
albanesi,
stanziatisi
nel
feudo
di
Mezzojuso,
dopo
qualche
tempo,
richiamarono
le
loro
famiglie
dall’Albania
e
cominciarono
la
ricostruzione
di
case,
quartieri, altri edifici e di una chiesa.
Nel
1501
gli
abitanti
di
Mezzojuso
stipularono
“le
Capitolazioni”
col
Monastero
di
San
Giovanni
degli
Eremiti
e
nel
1526
il
feudo
di
Mezzojuso
fu
dato
in
enfiteusi
alla
famiglia
Corvino
fino
al
1832,
quando
l’ultimo
dei
Corvino,
Don
Francesco
Paolo
Corvino
Filangeri,
morì
senza
lasciare
eredi.Con
la
morte
dell’ultimo
dei
Corvino
decadde
il
principato
conferito
da
Filippo
IV
a
Don
Blasco
Corvino
Sabea
nel
1634 e si estinse inoltre la feudalità a Mezzojuso.
Mezzojuso
è
stato
al
centro
di
altre
vicende
storiche,
come
la
rivolta
contro
i
Borboni
nel
1856
durante
la
quale
venne
fucilato
Francesco
Bentivegna,
inoltre,
nel
1860,
Michelangelo
Barone,
cittadino
di
Mezzojuso
fu
una
delle
XIII
vittime
della
piazza
omonima
di
Palermo.Altre
vicende
ancora
hanno
lasciato
il
loro
ricordo
nei
monumenti
e
nelle
lapidi
votive,
come
ad
esempio
una
lapide
ove
è
segnata
la sosta di Garibaldi in una casa del centro abitato.
Le Chiese
Chiesa di Maria SS. Annunziata
di rito latino
Situata
a
monte
della
Piazza
Umberto
I,
tra
l’annesso
“Castello”
che
fu
in passato dimora dei Corvino e la Matrice Greca.
La
chiesa
originaria,
di
piccole
proporzioni,
fu
costruita
dopo
l’espulsione
dei
saraceni,
durante
la
prima
metà
del
sec.
XI,
così
testimoni
ano
le
ricerche
effettuate
dal
Pirri
e
dal
Raccuglia
e
riproposte da Ignazio Gattuso.
Si
presume
che
la
chiesa
originaria
fosse
ad
unica
navata
senza
abside
e
che
tra
il
1527
e
il
1572
venne
attuato
un
primo
intervento
di
ampliamento
per
adeguarla
all’aumento
della
popolazione,
avvenuto
proprio
in
quegli
anni;
in
seguito,
venne
riaperta
al
culto
e
intitolata
alla S.S. Annunziata.
Nel
1680
la
chiesa
venne
ampliata
definitivamente
in
direzione
opposta
all’ingresso,
occupando
parte
del
giardino
del
“Castello”
e
alcuni
lotti
di
terreno
su
cui
insistevano
delle
vecchie
abitazioni
abbattute in quel periodo per far posto alla nuova costruzione.
L’impianto
attuale
presenta
una
pianta
a
croce
latina,
suddivisa
in
tre
navate
con
transetto,
mentre
la
nuova
configurazione
della
facciata
esterna
(intervento
del
1924)
presenta
tre
portali
sovrastati
da
archi
a
sesto
acuto,
due
rosoni
e
una
scultura
marmorea,
disposta
nel
timpano,
contenente
l’effige
dell’Annunziata.
All’interno
della
chiesa
si
trovano
sulle
pareti,
una
scultura
del
Crocifisso,
in
legno
policromo
del
1693
di
ignoto
scultore
siciliano
e
due
dipinti
settecenteschi,
due
grandi
tele
raffiguranti
la
Comunione
di
Santa
Rosalia,
la
Vergine
che
appare
a
San
Vincenzo
Ferreri
e
l’Annunciazione;
pregevole
inoltre,
la
suppellettile
sacra
(Trittico
in
oro
-
Pisside
donata
dal
Marchese
di
Rudinì
-
due
crocifissi
in
avorio)
e
le
numerose
statue
lignee
presenti
all’interno delle cappelle poste a ridosso delle navate laterali.
Chiesa di San Nicolò di Mira
di rito greco - bizantino
Disposta
a
fianco
della
Matrice
Latina
si
affaccia
su
Piazza
Umberto
I,
di
cui
costituisce
una
impareggiabile
cornice
insieme
al
vicino
“Castello”.
La
chiesa
fu
costruita
nel
1516
a
ridosso
di
una
Torre
già
esistente
e
fu
aperta
al
culto
nel
1520,
ma
non
passò
molto
tempo
e,
per
l’aumento
della
popolazione
e
dei
fedeli,
si
rivelò
piccola,
così
intorno
alla
fine
del
‘500
venne
abbattuta
e
ricostruita
nello
stesso
posto secondo le esigenze del rito greco-bizantino.
Agli
inizi
del
‘600
risalgono
i
lavori
per
la
costruzione
del
campanile,
che
consistettero
nella
sopraelevazione
della
Torre
nella
quale
si
trovava
l’orologio
pubblico.
A
partire
dagli
inizi
del
‘700
e
durante
la
seconda
metà
dell’800,
la
chiesa
subì
numerosi
interventi
di
trasformazione
interna
che
ne
mutarono
l’aspetto
originario.
In
particolare
durante
la
seconda
metà
dell’800
furono
abbellite
le
superfici
interne
della
chiesa,
con
decori
di
stile
greco
e
tutte
le
cappelle
presenti
al
suo
interno.
Attualmente
l’edifico
presenta
un
impianto
a
navata
sormontata
da
una
volta
a
botte,
all’interno
si
trova
l’iconostasi
che
contiene
icone
bizantine
del
XVI
sec.,
una
Theotokos
del
XIII
sec.,
un
Crocifisso
d’avorio su croce d’ebano del XVII sec., una crocetta athonita di legno e numerose statue lignee.
Chiesa di Santa Maria di Tutte le Grazie
di rito greco - bizantino
Collocata
a
ridosso
del
Monastero
Basiliano,
si
dispone
su
un
ampio
piazzale
su
cui
si
innesta
l’attuale
via
Andrea
Reres.
La
chiesa,
già
esistente,
fu
affidata,
in
virtù
delle
“Capitolazioni
del
1501”,
ai
greco
-
albanesi
arrivati
a
Mezzojuso
alla
fine
del
XV
sec.,
con
l’obbligo
di
riparala
e
ripristinarvi
il
culto.
Da
quel
momento
la
chiesa
prese
il
nome
attuale
e
vi
si
cominciò
ad
officiare
il
rito
greco
-
bizantino
e
com’era
uso
in
tutte
le
chiese,
venne
fondata
una
confraternita
intitolata
a
Santa
Maria
di
tutte
le
Grazie,
che
ebbe
il
compito
di
curare
e
governare
la
chiesa
fino
al
1650.
Dopo
il
1650
la
chiesa,
con
tutti
i
suoi
diritti
e
rendite,
venne
ceduta
al
monastero
basiliano
sorto
accanto
ad
essa.
Ampliata
nel
‘700,
attualmente
presenta
un
impianto
a
navata
unica,
con
un
portale
laterale
in
marmo,
decorato
con
aquila
bicipite
in
campo
rosso.
All’interno
si
trovano:
il
mausoleo
di
Andrea
Reres,
nobile
albanese
a
cui
si
deve
la
costruzione
del
monastero
basiliano;
l’iconostasi
che
contiene
delle
preziose
icone
del
XVI
sec.;
una
Platytèra
di
origine
cretese;
una
crocetta
athonita
di
bosso
finemente
scolpita;
medaglioni
dipinti
sulle
pareti
laterali
della
navata da Olivio Sozzi.
Chiesa del SS. Crocifisso
di rito greco - bizantino
La
chiesa
del
SS.
Crocifisso
è
ubicata
in
un
quartiere
che
porta
il
suo
nome,
del
resto
è
consuetudine
di
Mezzojuso,
data
l’esistenza
di
numerose
chiese,
identificare
i
quartieri
con
i
nomi
delle
chiese
in
essi
ubicati,
infatti
abbiamo
i
quartieri
di
San
Rocco,
Santa
Maria,
Madonna
dei
Miracoli,
Convento
ecc.
Si
sconosce
la
data
precisa
di
costruzione
della
chiesa,
inizialmente
di
dimensioni
modeste
dedicata
a
Santa
Venera,
tuttavia
si
pensa
che
sia
esistita
prima
del
1618
poiché,
da
un
registro
ritrovato
si
rileva
che,
in
tale
data,
in
questa
chiesa
venivano
seppelliti
i
fedeli
defunti.
A
partire
dalla
seconda
metà
del
‘600
si
avviarono,
per
volere
della
confraternita,
i
lavori
di
ampliamento
della
chiesa
che,
inizialmente,
fu
lasciata
in
rustico
e
soltanto
nella
seconda
metà
del
‘700
furono
realizzate,
sulle
superfici
della
navata
della
volta
a
botte,
le
decorazioni
attuali
con
stucchi
e
decori
in
oro.
All’interno
della
chiesa
si
può
ammirare
l’artistica
“Vara”
del
1648
con
il
Crocifisso
del
XV
sec.,
collocata
in
una
cappella
sopra
l’altare
maggiore,
chiusa
da
una
porta
lignea
che
reca
ventiquattro
pannelli
dipinti
raffiguranti
episodi
della
vita
di
Gesù
e
Maria.
Nel
1934
accanto
alla
chiesa
venne
edificata
la
Casa
Madre
della
Congregazione Basiliana delle Figlie di S. Macrina, ancora oggi esistente.
Santuario di Maria SS. dei Miracoli
di rito latino
Il
Santuario
si
trova
nella
parte
più
bassa
dell’abitato
e
la
costruzione
di
questo
è
legata
ad
una
leggenda
secondo
la
quale,
“un
giorno
arrivò
nel
nostro
paese
un
uomo
ammalato
di
lebbra.
Quando
gli
abitanti
se
ne
accorsero,
temendo
il
contagio,
lo
cacciarono.
Egli
allora
si
rifugiò
in
un
boschetto
e
li
si
addormentò;
mentre
dormiva
vide
in
fondo
ad
un
roveto
l’immagine
della
Madonna
col
Bambino
in
braccio
dipinta
su
un
grosso
masso
di
pietra
arenaria.
L’uomo
si
avvicinò
e
sentii
la
voce
della
Madonna
che
gli
diceva
di
andare
in
paese
e
dire
agli
abitanti
che
voleva
si
costruisse
una
cappella
proprio
in
quel
punto
e
in
testimonianza
di
ciò
lo
guarì
dalla
sua
malattia
facendolo
lavare
con
l’acqua
che
sorgeva
in
quel
luogo.
Egli
si
recò
in
paese,
diede
la
notizia
agli
abitanti
che
in
breve
tempo
costruirono,
in
quel
luogo,
una
cappeletta
per
venerare
la
Vergine
Santissima,
che
da
loro
fu
chiamata
“Madonna
dei
Miracoli”.
La
chiesa
sorse
in
seguito,
quando
gli
abitanti
di
quel
quartiere
presero
un
carro
con
dei
buoi
e
misero
il
masso
sul
carro
per
trasportarlo
verso
il
paese.
Si
racconta
che
ad
un
certo
punto
i
buoi
si
fermarono
e
non
ci
fu
modo
di
farli
andare
più
avanti.
La
gente
interpretò
il
fatto
come
se
la
Madonna
avesse
voluto
che
in
quel
luogo
si
erigesse
un
Santuario
e
proprio
in
quel
luogo
fu
eretto
l’attuale
Santuario”.
Il
Santuario
è
ad
unica
navata
contornata
da
quattro
altari,
decorati
con
stucchi
e
fregi
in
gesso,
l’altare
contenente
la
statua
della
Madonna
dei
Miracoli,
quella
dei
SS.
Cosma
e
Damiano,
quello
del
Sacro
Cuore,
quello
dell’Ecce
Homo
e
quello
del
Crocifisso.
Nell’abside
sono
posti
due
dipinti
del
pittore
Celestino
Mandalà,
oriundo
di
Mezzojuso,
che
raffigurano
due
scene
della
leggenda:
l’apparizione
della
Madonna
al
lebbroso
e
i
buoi
che
trasportano
il
carro
contenente
il
masso.
Sopra
l’altare
è
collocato
il
masso
ritrovato
recante
l’immagine
della
Madonna
dei
Miracoli
che
tiene
stretta
a
se
il
Bambino.
L’autore
di
questo
dipinto
è
ignoto.
Monasteri e Conventi
Istituto Andrea Reres
ex Monastero Basiliano
Edificato
nella
prima
metà
del
‘600,
accanto
alla
chiesa
di
Santa
Maria
di
tutte
le
Grazie,
per
volontà
della
stessa
Confraternita
che
nel
1601
tenne
“una
pubblica
adunanza,
in
cui
fu
proposto
e
solennemente
approvato
il
progetto
di
erigere
un
monastero
da
cedere
a
Monaci
Greci
o
Albanesi
ai
quali
fosse
ingiunto
di
professar
vi
integralmente
il
rito
e
la
disciplina
orientale”.
La
costruzione
del
monastero
si
deve
ad
Andrea
Reres,
presente
all’adunanza
del
1601,
in
qualità
di
socio
della
Compagnia
e
di
Rettore
della
Chiesa
di
Santa
Maria
di
Tutte
le
Grazie,
che
pochi
anni
dopo
l’adunanza,
devolse
una
parte
del
suo
cospicuo
patrimonio
alla
Compagnia
di
S.
Maria,
al
fine
di
costituire
una
rendita
da
impiegare
per
la
fabbrica
del
monastero
e
poi
per
il
sostentamento di almeno dodici monaci Greci o Albanesi, professanti rito e disciplina orientale.
Il
fabbricato
originariamente
composto
da
due
piani
fuori
terra,
presenta
ancora
oggi
un
impianto
di
forma
quadrangolare;
interessante
al
piano
terra
il
maestoso
portico
ad
ampie
arcate
a
tutto
sesto
sorrette da robuste colonne di marmo biancastro a venature rosse.
Il
Monastero,
oltre
a
contenere
una
ricca
biblioteca
con
rari
codici
greci
e
pregevoli
cinquecentine,
è
sede di un importante laboratorio di restauro del libro antico.
Ex Convento dei frati minori riformati
e chiesa dell’Immacolata Concezione
di rito latino
La
maestosa
e
sublime
struttura
del
Convento
detto
di
“S.
Antonino”
o
“Convento
Latino”
si
erge
sul
perimetro
a
valle
del
centro
abitato.
L’edificio
fu
fondato
per
volere
del
Principe
Don
Blasco
Corvino
e
della
zia
Donna
Francesca
Ventimiglia,
che
si
impegnarono
a
sostenere
tutte
le
spese
necessarie
per
la
costruzione
dell’opera
e
quelle
per il sostent
amento dei frati.
Il
Convento,
la
chiesa
e
la
necessaria
sacrestia,
si
legge
nell’atto
di
fondazione,
dovevano
essere
costruiti
secondo
la
forma
e
il
modello
che
avrebbero
approntati
i
frati.
Così
nel
1649
approvati
i
“capitoli”
relativi
alla
costruzione
del
convento,
contenenti
una
descrizione
delle
opere
da
eseguire e i relativi materiali da utilizzare, iniziarono i lavori.
Il
Convento
poté
dirsi
ultimato
nel
1656
poiché
i
nuovi
locali
furono
benedetti
nella
festa
dell’Immacolata di quell’anno dal Presidente Padre Gandolfo da Polizzi.
Negli
ultimi
anni,
sia
la
chiesa
che
il
convento,
quest’ultimo
di
proprietà
del
Comune,
hanno
subito
importanti
interventi
di
restauro
conservativo.
L’impianto
attuale,
mantiene
ancora
l’assetto
originario,
pianta
quadrangolare
dislocata
su
due
livelli
e
chiostro
centrale
al
piano
terra,
scandito,
originariamente,
da
sedici
colonne
sovrastate
da
archi
a
tutto
sesto.
Un
lato
del
Convento
è
occupato
dalla
chiesa
dell’immacolata
Concezione,
di
recente
riaperta
al
culto
dopo
l’ultimo
restauro
e
al
cui
interno sono presenti due tele attribuite a Vito D’Anna.
Il “Castello”
La
sua
costruzione
risa
le
all’epoca
della
fondazione
del
paese.
Non
si
tratta
di
un
“castello”
nel
senso
classico
della
parola,
ma
fu
sicuramente
in
passato
una
comoda
e
sicura
dimora
per
il
proprietario
delle
terre
di
Mezzojuso,
dotata
di
stanze
adibite
ad
alloggi,
stalle,
magazzini
per
il
deposito
di
frumento,
vino,
ecc..
Nel
1132
il
feudo
di
Mezzojuso
veniva
assegnato
da
Ruggero
II
ai
monaci
di
San
Giovanni
degli
Eremiti.
Questi,
che
avevano
concesso
in
affitto
tutte
le
terre
ricevute
in
assegnazione,
quando
si
recavano
a
far
visita
a
Mezzojuso,
usufruivano
di
questa
casa
che
veniva
chiamata
“lu
castello”
come
dimora
per
abitarci.
Nel
1527
quando
i
monaci
concedettero
in
enfiteusi
la
Terra
di
Mezzojuso
alla
nobile
famiglia
dei
Corvino,
“lu
castello”
divenne
anche
per
questi
una
nobile
dimora
dove
trascorre
i
soggiorni
durante
le
loro
visite
in
paese.
Durante
tutto
il
periodo
feudale,
ed
in
particolare
tra
la
fine
del
‘500
e
gli
inizi
del
‘600
si
effettuarono
dei
lavori
di
ampliamento
e
di
abbellimento
che
diedero
un
nuovo
aspetto
alla
fabbrica
e
che
nelle
grandi
linee
è
rimasto
invariato
fino
ad
oggi.
Nel
1844
con
l’abolizione
della
feudalità,
la
struttura
cominciò
a
perdere
pian
piano
il
suo
ruolo
di
palazzo
signorile
e
finì
per
ricadere
in
uno
stato
di
completo
abbandono.
Dopo
l’acquisto
nel
1984
da
parte
del
Comune
di
Mezzojuso,
la
struttura
è
stata
completamente
restaurata
ed
abbellita
ed
oggi
è
divenuta
sede
della
Biblioteca
Comunale,
spesso viene utilizzata per ospitare conferenze e manifestazioni culturali.
Le Icone
Nella
Tradizione
bizantina,
le
icone
rappresentano
documenti
di
interesse
storico,
teologico
e
filosofico, oltre che artistico.
L’icone,
per
i
fedeli
orientali,
è
Anàmnesi
(ricordo-
richiamo),
è
Kèrisma
(annuncio-catechesi),
è
Theoria
(contemplazione-preghiera),
è
richiamo
alla
Tradizione,
è
annuncio-dichiarazione
di
una
presenza,
è
contemplazione
-coinvolgimento
vitale
per un cammino di speranza.
A
Mezzojuso
ben
quattro
chiese
hanno
l’iconostasi.
In
seno
alla
Tradizione
orientale,
la
trasformazione,
dentro
la
chiesa,
del
recinto
del
coro
basso
e
aperto
(templon)
in
muro
di
iconi
o
iconostasi
isolante
il
Vima
(bema),
comincia
verso
il
sec.
XI
e
si
diffonde
a
partire
dal
XII
sec..
Tra
le
colonne
del
Vima,
vengono poste le icone.
Mezzojuso,
che
fa
capo
all’Eparchia
di
Piana
degli
Albanesi,
conserva
un
enorme
patrimonio
di
icone,
alcune
portate
dall’Oriente,
altre
fatte
venire
dalla
Grecia,
altre
dipinte
in
Sicilia.
Buona
parte
sono
di
Creta
o
della
scuola
cosiddetta
cretese,
che,
dopo
la
caduta
di
Costantinopoli,
rappresenta
il
meglio
della pittura iconografica.
Fra
gli
artisti-rivelazione
che
hanno
operato
a
Mezzojuso,
c’è
Ioannichios,
nato
all’inizio
del
1600,
la
cui
personalità
corrisponde
a
quella
evidenziata
dalle
icone:
a
un
pittore,
cioè,
dotato
di
eccezionale
forza
e
resistenza,
fedele,
nei
limiti
della
sua
epoca,
alla
tradizione
iconografica.
A
lui
sono
attribuite
sei
grandi icone.
Sempre
della
seconda
metà
del
‘600
è
la
tavola
illustrativa,
che
accomuna
cinque
temi
iconografici
distinti:
è
la
“Epi
Si
cheri”
del
ben
noto
Leo
Moschos,
appartenente
ad
una
famiglia
di
iconografi
conosciuti
a
Venezia
e
nei
territori
veneziani.
Le
icone
di
Mezzojuso,
sia
quelle
ereditate
da
generazioni
passate,
che
altre
prodotte
in
tempi
piu
recenti,
testimoniano
una
continuità
di
fede
e
di
espressione
artistica
memore
di
antiche
ed
originali
tradizioni
figurative.
La
Madrice
greca
di
San
Nicolò
di
Mira
risalente
agli
inizi
del
‘500,
contiene
icone
bizantine
del
XV
-
XVI
sec.,
oltre
ad
un’iconostasi
con
icone
contemporanee,
dipinte
ad
Atene
da
Kostas
Zouvelos.
La
Chiesa
di
S.
Maria
di
tutte
le
Grazie,
concessa
agli
Albanesi
nel
sec.
XV,
offre
la
più
preziosa
iconostasi
di
tutta
la
Sicilia
con
iconi
del
XV-XVI
sec.
Nella
chiesa
di
San
Rocco
la
serie
di
immagini,
contemporanee,
che
campeggiano
nell’iconostasi
ed
in
tutta
la
chiesa,
realizzate
da
Fratel
Pietro
Vittorino,
sono
caratterizzate
da
un
disincantato
lessico
pittorico
sempre più distante da ascendenze bizantine e declinato con un fare popolareggiante.
Il
legame
con
il
passato
è
anche
esplicitato
nel
rivolgersi
a
tecniche
artistiche
di
millenaria
tradizione,
come
quella
del
mosaico,
utilizzato
per
decorare
la
chiesa
del
SS.
Crocifisso
e
realizzato
da
Pantaleo
Giannaccari.
Sembra
mantenersi
fedele
alla
piu
“classica”
tradizione
iconografica
Kostas
Zouvelos,
attivo
ad
Atene
ed
autore
delle
icone
che
gli
vengono
commissionate
per
la
chiesa
di
San
Nicolò
di
Mira.
In
queste
opere,
infatti,
si
notano
numerosi
riferimenti
a
capolavori
d’arte
bizantina
ormai
musealizzati
eseguiti
sia da maestri athoniti che cretesi.
Mezzojuso,
dunque,
si
pone
come
autorevole
crogiuolo
di
culture
artistiche
che
oggi,
come
in
tempi
passati
oltre
a
produrre
opere
in
loco,
non
dimentica
i
legami
con
la
terra
di
origine
da
cui
vengono
ancora
importate
icone
che
attestano
un
interrotto
contatto
con
la
più
aulica
iconografia
bizantina.
Questo
è
anche
confermato
dalle
icone
delle
antiche
iconostasi
delle
chiese
della
cittadina,
smembrate
tra
la
fine
del
XVIII
e
il
XIX
secolo,
e
adesso
tornate
ad
essere
l’espressione
di
una
comunità
che
con
un
attento
recupero
della
memoria
artistica
ha
riacquistato,
con
rinnovato
senso
critico,
tradizioni del passato.
Come
nei
secoli
passati
cosi
anche
oggi
a
Mezzojuso
non
solo
si
praticano
e
si
perpetuano
liturgie
e
riti
bizantini,
ma
si
perpetuano
il
desiderio
e
la
volontà
di
circondarsi
di
icone,
di
quelle
antiche
che
costituiscono
il
patrimonio
storico
artistico,
segno
della
tradizione
e
della
fede
di
questa
comunità
greco-albanese,
e
pure
di
altre
contemporanee,
sia
importate,
sia
ancora
una
volta
prodotte
in
loco,
che evidenziano un legame indissolubile e duraturo tra passato e presente.